Il Visitatore scompare nel mistero da cui era venuto, si spengono le luci come il battito di palpebre che improvviso arresta il sogno e segnala il risveglio. Gli spettatori si guardano, applaudono senza smettere di chiedersi con un pizzico della enorme disperazione, paura e crisi interiore di Freud sul palco, chi realmente fosse quel matto così divino e musicale piombato a casa del dottore in una notte già
di per s'è calda di assurda passione. Una fine che potrebbe essere un inizio, sprofondata nel mistero più fitto e accumulato durante tutta la rappresentazione: un sogno forse? Ci si chiede questo, al riaccendersi delle luci, agli scrosci degli applausi. Una incredibile vicenda in una casa di Vienna: il vecchio Sigmund Freud, celebre dottore e studioso, è nel turbine causato dal precipitare degli eventi politici, indeciso forse per la prima volta nel prendere una decisione (lasciare l’Austria o resistere, ateo fra gli ebrei, al regime nazista che infierisce su di lui?). La figlia Anna non ha dubbi, e nemmeno peli sulla lingua: viene a malo modo arrestata da un agente che è il ritratto del nazista senza idee e ideali al punto da farsi marionetta spietata di chi gli promette la sicurezza che non ha mai trovato. Ecco che Freud, solo in una casa sviscerata dall’odio nazista, riceve una visita straordinaria e conivolgente da un uomo che sembra la materializzazione di un sogno inconcepibile, ma assolutamente vero su un palco che domina, di fronte a un Freud incapace di comprenderlo con la razionalità che ha paura e nemmeno sa mettere da parte. Nell’ombra delle torce della Gestapo, nei silenzi delle idiote esclamazioni, prepotenti e rabbiose, di un ufficiale nazista, nell’apprensione lancinante per il sequestro della figlia Anna; Freud e il suo affascinante pazzo visitatore si contendono la verità più misteriosa, accendono i credi più profondi e smuovono quelle convinzioni che così volentieri e pigramente amiamo lasciare al loro posto, nelle stanze più remote dell’animo. Lo scontro ruota infatti attorno a Dio, la sua esistenza, il suo ruolo e la presunzione di un matto di essere tale (oppure un terribile malinteso?). Il sottile e insidioso dibattito viene teso fra due visioni contrapposte del mondo: a Freud, ateo e uomo di scienza, che incalzante chiede miracolose prove, il Visitatore (matto? messaggero divino? controfigura di Dio?) risponde con la medesima ironia e con una semplicità che lascia di stucco, sprofonda il dottore nei dubbi più profondi e terribili.
Interpreti di questa grande sfida, combattuta in 50 metri quadrati che incredibilmente hanno saputo ospitare una tale vastità e complessità di temi, Alessandro Haber (S. Freud) e Alessio Boni (il Visitatore), accompagnati da Nicoletta Robello Bracciforti e Alessandro Tedeschi nella recita di questo capolavoro di Schmitt.
Una pièce che ha fatto riflettere, sottilmente intrisa di ironia e fedeltà biografica, profondamente antitetica: basti pensare all’incertezza di fronte ai capovolti ruoli di Freud e del suo Visitatore: chi il paziente e chi il medico?
Semplicemente un coinvolgente e incredibilmente impegnativo spettacolo quello andato in scena giovedì 15 e venerdì 16 gennaio 2015 al Teatro di Locarno.
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